lunedì 22 gennaio 2007

I Miracoli del Lario

E’ da tempo che mi pongo degli interrogativi sulle falesie del Lecchese.
Ogni tanto ne compare una, sarà una magia, sarà un miracolo, sarà opera dello spirito santo?
Non credo.

Forse è opera di qualche operatore sociale, qualcuno che ha fatto del volontariato la sua missione alpinistica?

In parte si, ma non sono operatori sociali, sono persone che conosciamo, gente che invece di scalare e basta, come quasi tutti gli arrampicatori, passa da molti anni il sabato e la domenica con in mano un trapano su e giù per corde fisse, a disgaggiare, a piantare spit a rischiare del suo per creare un immenso patrimonio a disposizione di tutti gli arrampicatori. E vero che anche questo aspetto fa parte del nostro sport, ma ricordiamoci che non è un obbligo attrezzare vie e falesie per tutti.

Anni fa chi chiodava riceveva da qualche negozio e da alcune sezione del CAI parte del materiale ed aiuti vari per svolgere questo tipo di attività. Ora i tempi sono cambiati, i negozianti sono restii e le sezioni CAI sono poco stimolate, nessuno da più una mano. Ma le falesie ogni tanto ricompaiono dal nulla, ma allora è proprio vero, è un miracolo. NO! I volonterosi ci mettono anche i soldi.

Questo dovrebbe farci riflettere seriamente, dovrebbe darci la consapevolezza che le falesie, sono solo ed esclusivamente patrimonio di tutti gli scalatori, visto che, pur essendo equiparate a strutture sportive a cielo aperto, la regione, i comuni ed anche le associazioni alpinistiche più titolate non trovino il tempo ed il modo per soffermarsi su questi aspetti.
Sarà solo un fatto di sensibilità?
Non credo proprio, penso piuttosto che per ognuno chiamato in causa ci sia una ragione diversa per eludere questi problemi.


Mi auguro che questo atteggiamento non valga anche per noi, sarebbe opportuno
cominciare a parlarne seriamente, sarebbe opportuno capire come e cosa fare per finanziare progetti di nuove strutture e vie in zona, favorendo anche quel ricambio generazionale che per ora sembra non esserci, sarebbe opportuno che chi fosse interessato a contribuire si faccia avanti, e creare così un’istanza collettiva dove ci si possa confrontare e passare dalle buone intenzioni a fatti concreti.


Pierluigi Guizzetti (Pier)

11 commenti:

Massimo Basso ha detto...

Eccolo, nero su bianco, quello che molti pensano, pochi dicono e nessuno fa: mettere mano al portafoglio. Personalmente mi trovo d'accordo con l'amico Pier, anzi dirò di più. Sono uno scalatore della domenica, un amatore, come si direbbe in altri sport. Mai mi metterei a chiodare una falesia: non ne ho l'esperienza, ma soprattutto non ne ho la voglia. Mi sono trovato più volte a criticare il lavoro di chi attrezza le falesie, ma sempre sono giunto alla conclusione che senza la passione, l'impegno, gli errori, e, sempre più spesso, anche senza il denaro di questi matti che passano il loro tempo a crearci i parchi giochi, forse noi tutti oggi non saremmo qui a discuterne. Paghiamo per andare al cinema, per andare in palestra, persino per fare le garette di boulder, perchè non tirare fuori qualche euro per l'attrezzatura delle falesie? E' vero, oggi anche volendolo fare non si saprebbe a chi dare i soldi, perciò auspico che grazie alla buona volontà, che più o meno tutti abbiamo, si possa creare un "organismo" che permetta di finanziare i nostri volonterosi benefattori. Noi siamo già in tre Pier, Barbara, (mia moglie) ed io. E voi? Buona scalata sulle falesie lecchesi.
Massimo Basso - Barbara Belloro -max@fotoviaggisport.it

Anonimo ha detto...

A questo proposito, mi sembra doveroso ricordare come il CAI di vimercate, fin dagli anni del mitico Ronchi ha sempre avuto un atteggiamento attivo per quanto riguarda l' attrezzatura delle falesie lariane; anche ultimamente (lo scorso inverno) ha 'sborsato' una discreta somma che e' stata utilizzata per cambiare quasi tutte le catene del Vaccarese (a proposito, la smettiamo di fregare i moschettoni di calata ?). Pero' la cosa che mi sono sempre chesto e' la seguente..
Come e' possibile che una citta' come Lecco, che ha due gruppi alpinistici tra i piu' rinomati d' italia non riesca a trovare qualche spicciolo da destinare alla manutenzione/chiodatura delle falesie ? Eppure non mi risulta che ci sia qualche falesia direttamente riconducibile ai Gamma o ai Ragni, forse solo il sasso pelo, eppure nel lecchese ci saranno almeno una trentina di falesie.
I due sopracitati gruppi alpinistici hanno in mente solo le spedizioni extraeuropee le serate e le gare di boulder ?
Eppure per la chiodatura di una nuova falesia non e' che sia necessario una somma cosi astronomica ....
Sotto questo aspetto credo che il CAI di Vimercate sia stato un esempio piu' unico che raro, sicuramente e' stato l' entusiasmo di Ronchi a innescare il tutto, pero' non vedo perche' un modello come questo non possa essere applicato anche in altri contesti.

Anonimo ha detto...

Sarei anch'io lieto di contribuire.... con del quid intendo...

Anonimo ha detto...

Il lavoro di chi attrezza le falesie del lecchese è certamente un'opera che merita la gratitudine di chi le frequenta.
Tuttavia ogni tanto mi pongo questa domanda: fino a che punto si vuole arrivare?
Si vuole andare avanti ad oltranza? Si vuole fittonare da parte a parte qualunque formazione rocciosa della zona? La direzione sembra quella. Ma è proprio ciò di cui c'è bisogno?
Ormai di falesie attrezzate ve ne sono numerose, e chi si lamenta dell'affollamento in alcune di esse dovrebbe forse lamentarsi della sua scarsa voglia di andare a cercarsi la falesia magari più scomoda ma per questo meno frequentata.
Al contrario, per chi vuole cimentarsi in arrampicate più "selvatiche" nelle quali alla capacità puramente tecnica si affianca la capacità di cercarsi la via e di proteggersi, senza dover andare in Dolomiti o in alta quota, il terreno diminuisce.
I due terreni non si sovrappongono completamente, perchè certamente certe falesie tutte a monotiri di 7b non sarebbero praticabili nè molto attraenti in stile "classico", ma già con le richiodature in Grigna si intravede uno sconfinamento dello stile delle falesie sul terreno "classico", non ovunque condivisibile al 100%.
Non vorrei che la sensazione di essere una sorta di "benefattore", che chi passa giornate ad attrezzare falesie ha, diventi un'auto-investitura a decidere per tutti cosa far diventare ogni sasso del lecchese (iperbole).
Bruno

Serafino ha detto...

Leggo qui che le falesie sono equiparate a tutti gli effetti a degli impianti sportivi. Perdonate l'ignoranza, ma dove sta scritto? E se pure qualcuno, o meglio, qualche autorità istituzionale, l'ha scritto, siamo sicuri che trasformare un pezzo di natura in un impianto sportivo sia la strada giusta?
Non voglio con questo fare polemica sterile, ma concentrare l'attenzione su un approccio diverso da quello che si è diffuso in Italia e in Europa. Mi riferisco all'atteggiamento dei climber anglosassoni (quelli americani in particolar modo) che pongono una grandissima attenzione al rispetto dell'ambiente, concependo anche le falesie come luoghi di wilderness, aree naturali dove è bello muoversi cercando di lasciare un'impronta il più leggera possibile, anzi, cercando di NON LASCIARE TRACCIA.
Certo, anche gli yenkee fanno le loro belle cavolate, ma le riflessioni che hanno elaborato su questo tema hanno degli spunti di riflessione molto interessanti.
Con tutto il rispetto per i chiodatori (categoria di cui anch'io nel mo piccolo faccio parte) dovremmo chiederci quanto sia corretto un approccio che "mette in sicurezza" o "mette in ordine" un angolo di natura come se fosse il salotto di casa propria, con taglio di piante ed edere varie, costruzione di gradinate e piazzole, installazione di giochi per bambini (vedi altalena ai Campelli) e decorazioni sulla roccia (sassiolini e sassoloni incollati alla base della parete per indicare il settore o i nomi della vie). Qui c'è molto amore per il proprio sport, dedizione e affetto per la propria falesia, la propria creatura... ma il punto forse è questo: chi l'ha detto che quella falesia dove stai chiodando è la tua creatura? Forse che la tua fatica e la tua passione ti danno il diritto di trasformare quel luogo naturale a tuo piacimento?
Attenzione queste più che critiche sono dubbi e spunti di riflessione che vorrei condividere.
Poi ci siamo noi frequentatori, e a noi faccio una critica esplicita e poco delicata: ma se amiamo tanto la vita all'aria aperta e la natura bella, perché non la smettiamo di scagazzare tutto intorno (e anche molto vicino) alle falesie? Sembra una stronzata (termine appropriato no?) ma certe zone stanno diventando dei cessi all'aria aperta: eppure basterebbe portarsi una palettina per seppellire i "cadaveri" e un sacchetto per riportare a casa l'igienica...
Un ultimo appunto: forse sono un crostone che non vuol tirar fuori un soldo, ma, indipendentemente dal discorso del finanziare o meno, mi rifiuti di pensare ai chiodatori come a degli "operatori sociali" che si sacrificano per noi. Credo e spero che tutti quelli che chiodano lo facciano per se stessi, per pura, egoistica, passione, per quel senso di orgoglio che viene dal vedere che poi le tue vie sono percorse e apprezzate. Dio ci scampi dai "buoni samaritani" della roccia, da chi chioda per gli altri, per fare un servizio alla società. Penso che il non sentirsi investiti da una "missione" e la consapevolezza di fare qualcosa in fondo solo per se stessi facciano un gran bene al nostro modo di approcciarci alla roccia, aiutandoci a mantenere un atteggiamento moderato e discreto, il più possibile rispettoso di spazi naturali che non sono strutture sportive, non sono nostri, non sono dei climbber, non sono di nessuno!
Anche io qualche volta mi sono lasciato prendere dal demone della chiodatura e rignrazio gli amici che mi hanno dato del pirla quando magari volevo tagliare un albero che "dava fastidio" perché lì ci poteva stare un'altra via.
OK, fine della predica... buona scalata a tutti!

Anonimo ha detto...

...eppure, sarò un illuso, ma sono convinto che in alcune persone vi sia una peculiarità caratteriale chiamata “altruismo” che, unita ad una forse predominante componente di autocompiacimento e passione porta taluni a chiodare le rocce.
Nel climbing mi dichiaro “centrista”, sono lontano dagli “estremismi” sia di coloro che ritengono intoccabile ogni elemento naturale sia di quelli che, fosse per loro, chioderebbero anche il sasso del proprio giardino.
Quindi in primis, come diceva un anonimo del blog, bisognerebbe interrogarsi seriamente sull’opportunità o meno di continuare a chiodare spasmodicamente nuove rocce, sopratutto se la qualità di queste ultime non è eccelsa! (non penso che nel territorio lecchese rimangano poi moltissime “perle” nascoste).
Rimango anche perplesso di fronte a certi evidenti “inestetismi”, del tipo quattro linee di spit con rispettive catene in tre metri di roccia (magari con prese scavate...) dove si vuole, a mio modesto parere, “forzare” una linea.
Detto ciò sono profondamente convinto che una falesia già esistente abbia bisogno di continue e attente manutenzioni al fine di mantenere elevati gli standard di sicurezza che tale luogo DEVE garantire.
Evidenzio “deve” perchè, ci piaccia o no, sono ormai molti i fruitori di questi siti, parecchi dei quali alle prime armi; sono inoltre sicuro che la stragrande maggioranza dei climber (me compreso) non è sempre in grado di valutare correttamente lo stato di usura di uno spit, piuttosto che di una catena o di un moschettone di calata...ai quali si appende ogni volta la propria vita (ho scoperto l’acqua calda!).
Allora tanto di cappello a gente come Ronchi, Formenti, Vitali...i quali non si limitano a spittare falesie e vie lunghe ma anche a provvedere alla revisione e alla sostituzione di eventuale materiale ammalorato nei siti esistenti.
Se attrezzare una linea, magari impegnativa, può sembrare anche un fatto egoistico (lo faccio perchè dopo “la provo”) sostituire di tasca propria gli spit vecchi con dei resinati su un tiro da principianti è una nobile quanto indispensabile operazione avente come scopo la sicurezza delle persone tutte.
Anzi se un obiezione si può sollevare all’ottimo lavoro di questi appassionati volenterosi, obiezione che nasce sia da esperienza personale sia ascoltando nelle palestre indoor la vox populi di chi comincia, è che nel territorio lecchese vi sono poche falesie per veri principianti cioè per coloro che, volendo iniziare a muoversi da capocorda, cercano tiri facili con chiodatura particolarmente sicura e ravvicinata. (ad esclusione di certi settori dell’Angelone!)
Accade spesso infatti che su livelli 5a-6a la spittatura sia ben distanziata e/o con il primo spit eccessivamente alto, forse perchè l’apritore trova banale affrontare determinate difficoltà e diventa “parsimonioso” sul materiale da utilizzare (dato che lo paga lui!), parsimonia che subito scompare sui tiri duri od estremi, anche strapiombanti.
Non so voi ma io personalmente ho più timore a fare un 6a verticale continuamente interrotto da cenge e diedri chiodato “lungo” piuttosto che provare un 7b liscio, o meglio ancora strapiombante, chiodato vicino dove un eventuale (nel mio caso sicura) caduta non comporta al climber alcuna conseguenza ne fisica ne mentale.
Ecco anche perchè, a mio avviso, si cerca subito la difficoltà: perchè arrampicare sul facile è più...impegnativo!
Allora evviva le falesie ben chiodate dove ci siano tiri per tutti i gusti, evviva i “soliti noti” chiodatori che ci regalano belle e sicure giornate verticali nell’attesa di trovare una soluzione per contribuire liberamente e volontariamente al finanziamento di questi progetti, magri anche solo raccogliendo delle collette nei negozi specializzati (tipo Gerri Sport, per esempio) o aprendo un conto sul quale versare anche solo qualche euro...io un piccolo contributo per la mia ed altrui sicurezza lo darei!

Anonimo ha detto...

ciao sono gianni ronchi
FALESIE
sempre con il massimo rispetto x le altrui opinioni, volevo esprimere la mia.si va bene,no va bene,ni non va bene.debbo scegliere.se scelgo di chiodare allora lo debbo fare bene.se in parete o alla base della falesia c'e' della vegetazione la debbo togliere, xche' specialmente sulla roccia dove c'e' un alberello oppure un cespuglio,c'e' instabilita',c'e' terra ci sono sassi mobili.quante volte si sente dire dal popolo dei climber cavolo ma su questa via c'e'della polvere!!!.se scelgo di arrampicare devo essere consapevole del fatto che qualcun altro ha pulito x me.tutte le critiche che gli arrampicatori fanno a chi chioda vanno bene se prima pero' c'e' il rispetto x il lavoro svolto.personalmente non mi sento ne' un operatore sociale ne' un buon samaritano.certo il motivo primo sono io quindi lo faccio per il mio "massacrante" divertimento, pero'quando su una "tua" falesia conti 45 persone che arrampicano, ti senti soddisfatto. e personalmente penso di aver fatto cosa giusta. fino a che punto chiodare? non lo so, possibilita' ce ne sono ancora tante, che manca sono altre cose. un saluto e buone arrampicate gianni

Anonimo ha detto...

Sono un altro appassionato dell'arrampicata e negli ultimi anni sono andato a scalare nelle tante falesie del Lecchese svariate decine di volte.
Sono contento di questo blog perchè mi permette di esprimere pubblicamente il mio profondo senso di gratitudine per chi ha chiodato e continua a chiodare in quest'area.
Non mi interessano le motivazioni di queste persone, mi interessano i risultati: nella stragrande maggioranza dei casi non vedo luoghi in cui si afferma l'ego del chiodatore a discapito dell'ambiente naturale; piuttosto vedo luoghi ben attrezzati dove il disgaggio, i sentieri, i piccoli terrazzamenti ed altre opere dell'uomo sull'ambiente naturale sono finalizzate esclusivamente a permettere a chi li frequenta di divertirsi ed impegnarsi nell'arrampicata con un buon livello di sicurezza.
Le falesie, in qualità di luoghi pubblici sono, di fatto (ripeto, non mi interessano le motivazioni), dei doni offerti alla collettività degli arrampicatori, che dovrebbe averne cura e preservarli nel tempo, mantenendo e se possibile accrescendo il rispetto per l'ambiente dimostrato da chi li ha realizzati.

Da mie sensazioni e da qualche conversazione avuta con chiodatori o aspiranti tali, sono portato a credere che ci sia ancora ampio spazio per valorizzare nuove aree, senza eccessi e senza violentare le pareti per cavarne fuori tiri asfittici.

Ciò premesso ritengo che io e molti tra noi appartenenti alla comunità dei climber abituali del Lecchese sarebbero lieti di contribuire economicamente a nuove chiodature e alla manutenzione delle aree esistenti. Il problema è che non esistono enti o strumenti trasparenti per finanziare le opere di richiodatura ed i nuovi progetti. A chi do i soldi? Come posso essere sicuro che vengano spesi veramente per attrezzare una nuova falesia? Come possono essere coinvolte nuove persone che vogliono provare ad attrezzare ma non hanno capitali ed esperienza? Se riusciremo a rispondere a queste domande forse in futuro il lecchese offrirà più possibilità arrampicatorie e forse riusciremo a sviluppare una maggior coscienza di comunità che contribuisce consapevolmente e nel rispetto della natura alla crescita e alla buona pratica dell'arrampicata.

Anonimo ha detto...

L'idea di creare un fondo per la chiodatura/manutenzione delle falesie mi pare buona. Ritengo che alcune associazioni come CAI e forse la FASI potrebbero anche loro contribuire alla causa. Rimane aperta una questione a mio giudizio: una volta che l'opera di chiodatura è finanziata in maniera ufficiale il chiodatore avrà ancora la libertà di chiodare con il proprio "stile"?
Mi è capitato di leggere articoli riguardo la standardizzazione della chiodatura per giungere al concetto di falesia sicura.
Ritengo che l'arrampicata sia uno sport che comporta qualche rischio e l'arrampicatore è responsabile della sua incolumità. In primis da questo punto di vista c'è la capacità di valutare lo stato della roccia e della chiodatura.
Non vorrei che le falesie si trasformino in semplici palestre all'aperto, con chiodatura iper ravvicinata.
Ciò che mi piace dell'arrampicata è la libertà.
Quindi se servono soldi li si può dare, ma non metterei grossi vincoli sullo stile della chiodatura.

Anonimo ha detto...

Ciao a tutti,
volevo inserire anch'io il mio modesto parere sull'argomento.
Essendo solo un utilizzatore delle falesie esprimo in estrema sintesi alcuni concetti:
- ringrazio in primis che si sbatte per chiodare (e richiodare) falesie nella zona del lecchese;
- ritengo che le modalità di chiodature debbano essere decise da chi chioda (lunga, corta, da integrare,....) ovviamente con le dovute precisazione quando tali info vengono pubblicate;
- sono favorevole ad un contributo economico a chi chioda, se, come sembra, non vi sono altre fonti di finanziamento (comuni, CAI, FASI, .....). Da chiarire come;
- il rispetto e la tutela ambientale devono essere alcuni dei capisaldi nell'utilizzo delle falesie (da parte di TUTTI);
- da ultimo vorrei ringraziare Pier x lo stimolo che ha dato aprendo il blog a questa discussione.

Ciao

Fabio Villa

Anonimo ha detto...

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